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"L'Arte Bianca"
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CINA
Xinjiang - Gansù
 
 
" Lungo la Via della Seta "

Un viaggio nel lontano nord-ovest cinese, nelle regioni dello Xinjiang, terra irrequieta patria degli uiguri, che si distingue dal resto della Cina per i forti legami etnici e culturali con l'Asia centrale e del Gansù, un tempo luogo di passaggio delle carovane lungo la Via della Seta.
Un itinerario che ci ha portato attraverso il deserto del Taklamakan, sui contrafforti del Pamir ed in villaggi senza tempo dalle tradizioni millenarie.
Le mitiche Kasghar ed Hotan con i loro animati mercati esistenti già ai tempi di Marco Polo, la depressione di Turfan, il Pamir e la Karakorum Highway, le grotte affrescate di Mogao, i monasteri di Labrang, Kuntum e Tongren sono stati alcuni dei punti salienti di questa nostra prima avventura cinese.


Lunedì 27 settembre- In una splendida ed assolata giornata settembrina, raggiungiamo l'aeroporto di Milano Malpensa. Voliamo per la prima volta con Emirates, la compagnia di bandiera del piccolo stato arabo. Alle 23, dopo un volo tranquillo caratterizzato da un ottimo servizio a bordo, atterriamo a Dubai, uno dei sette emirati che costituiscono gli Emirati Arabi Uniti.

Martedì 28 settembre - Nel cuore della notte lasciamo l'aeroporto di Dubai a bordo di un nuovissimo Airbus 380, l'aeromobile attualmente più grande al mondo, che può trasportare su due piani, quasi 600 passeggeri. Volo tranquillo ed arrivo in una tersa giornata di sole al Capital International Airport di Pechino. Utilizzando l'Express Airport, il treno che collega l'area aeroportuale alle linee della metropolitana, lasciamo il terminal 3, inaugurato in occasione delle Olimpiadi e raggiungiamo la città. Scendiamo al capolinea di Dongzhimen; facilitati dalle indicazioni bilingue (cinese ed inglese) riusciamo a muoverci con una certa facilità nonostante la ressa. Utilizzando un paio di linee (n.2 e 5) raggiungiamo la stazione di Dengshikou, la più vicina a Shijia Hutong, una caratteristica e stretta via alberata, costeggiata dalle hutong, le vecchie case di Pechino, in cui si trova l'albergo in cui abbiamo prenotato una camera per la notte tramite internet. Depositati i bagagli, usciamo a piedi per una prima presa di contatto con la metropoli cinese. Ripercorriamo Shijia Hutong, per immetterci nella meno caratteristica Jinyu Hutong e raggiungere così Donghuamen Daije dove ci fermiamo per assaggiare alcuni piatti tipici della cucina cinese presso le bancarelle dell'omonimo e assai conosciuto mercato notturno. Percorrendo Nanchiz Daije raggiungiamo il cuore della città: piazza Tiananmen. Il marciapiede antistante la Porta della Pace Celeste, punto di accesso alla Città Proibita, brulica di persone, turisti cinesi in visita alla città, intenti a farsi fotografare di fronte alla porta illuminata a giorno ed al coreografico ritratto di Mao.

Mercoledì 29 settembre - Alla fioca luce dei lampioni nascosti tra le fronde degli alberi, costeggiando vecchie hutong ancora avvolte dalle tenebre, raggiungiamo a piedi la stazione della metropolitana di Dengshikou. Ripercorriamo, al contrario, l'itinerario di ieri per raggiungere nuovamente in treno, il terminal aeroportuale. In circa un'ora siamo al Capital Airport, invaso da una moltitudine impressionante di cinesi. Ai primi raggi di sole, con dieci minuti di ritardo sull'orario stabilito lasciamo Pechino, a bordo di un 737 della Air China. Dopo quattro ore di volo atterriamo ad Urumqi; dall'aereo, la città ci appare come un esteso insediamento industriale attorno a cui si stanno sviluppando nuove aree residenziali. Nonostante la bella giornata di sole ed una brezza frizzante che soffia dai monti circostanti spruzzati di neve, parecchie zone della città sono sovrastate da una spessa e cupa cappa di smog. In autobus raggiungiamo la piazza antistante la stazione ferroviaria sui cui sorge anche uno dei migliori alberghi della città. Per curiosità, proviamo a chiedere prezzo e disponibilità; ci propongono, con uno sconto del 50% sulla tariffa abituale, una camera spaziosa e ben arredata situata all'undicesimo piano, da cui si gode di una bella veduta panoramica sullo skyline della città e sulle attività della piazza sottostante. Dopo esserci recati in stazione ad acquistare i biglietti per il treno di domani, ci dirigiamo a piedi verso il quartiere uiguro. Scendiamo lungo Qiantangijang Lu, un largo viale trafficato su cui è stata costruita anche una strada sopraelevata. Il quartiere è molto caratteristico; uomini con il tipico copricapo uiguro, donne con il classico foulard in testa o velate, camminano per le animate viuzze e fanno acquisti dai numerosi venditori che espongono la loro mercanzia sul marciapiede. Assistiamo ad un controllo da parte della polizia; a dire il vero, sembra più una razzia autorizzata, visto che i militari con tanto di carrettino al seguito, ostentando arroganza e potere, si appropriano di ogni tipo di merce. Ci infiliamo in vicoli affollati con piccole botteghe ospitate in vecchie case ormai minacciosamente sovrastate da sempre più vicini ed imponenti palazzi moderni. Qui il sole tramonta più tardi che a Pechino; dopo esserci fermati ad acquistare e a gustare dell'ottimo nan cotto nei forni a legna di rustiche botteghe che si affacciano sulle strette vie del mercato Erdaoqiao, a piedi facciamo rientro all'hotel. Le strade che percorriamo sono congestionate dal traffico veicolare; il livello di inquinamento è molto elevato e lo smog irrita gli occhi.

Giovedì 30 settembre - Alle 9,15, ora di Pechino che corrisponde alle 7,15 ora dello Xinjiang, siamo in stazione. Dopo aver fatto pazientemente la coda per entrare, ai controlli dei bagagli con i raggi X, procedura che avviene in tutte le stazioni cinesi, siano esse ferroviarie, della metropolitana o degli autobus, ci vogliono sequestrare la schiuma da barba. Dopo una lunga querelle con i poliziotti, grazie all'aiuto di una ragazza del luogo che traduce le nostre spiegazioni e che fa valere le nostre ragioni, riusciamo ad entrare; saliamo così alle vaste sale d'attesa dove sono già stipate centinaia di persone in attesa dell'apertura dei cancelli d'accesso ai binari. Ci districhiamo faticosamente nella fiumana umana e dopo aver mostrato i biglietti a diversi addetti, arriviamo finalmente ai posti assegnatici. Essendo andati esauriti i biglietti per le cuccette morbide, abbiamo dovuto ripiegare sull'acquisto di due posti in uno scompartimento con le cuccette dure. Scopriamo così, che gli scompartimenti non sono chiusi, che non ci sono posti a sedere, se non due seggiolini con mini tavolino nel corridoio e che tutti vivono in comunità. Chi ha la cuccetta inferiore lascia sedere anche gli altri passeggeri, poichè ai piani superiori si può solo stare sdraiati. Puntuali, ci lasciamo alle spalle Urumqi con la sua vasta ed anonima periferia industriale. Due ore di viaggio attraverso una estesa piana desertica interrotta da bassi rilievi rocciosi e giungiamo a Daheyan, nodo ferroviario da cui parte la linea per Kashgar. Procediamo molto lentamente in un susseguirsi di cantieri per i lavori di ammodernamento della linea ferroviaria; la zona è disabitata, attraversiamo un solo grosso villaggio sorto vicino ad un vasto insediamento industriale. Lasciamo la piana desertica per attraversare la catena dei Monti Tian Shan; è un lungo tratto tortuoso con numerose gallerie in cui la ferrovia segue il corso di un fiume sovrastato da ripide pareti rocciose. Ai nostri occhi, dal finestrino appare solo una angusta striscia di terra verde e fertile, qualche campo coltivato e numerose greggi al pascolo custodite da pastori a cavallo. Alcuni piccoli villaggi collegati da una stretta strada asfaltata ci segnalano che siamo nuovamente in pianura e che ci stiamo avvicinando alla cittadina di Hejing. Passiamo le città di Yanqi e Korla; siamo ormai all'imbrunire ed i grattacieli di Korla, illuminati, danno un idea della modernità del luogo. La ferrovia corre ora rettilinea; abbiamo finora percorso 600 km, altri 283 ci attendono. Nel cuore della notte, giungiamo alla stazione di Kuqa, che come quasi tutte le stazioni dei posti che visiteremo si trova una decina di chilometri fuori città. Si offre di accompagnarci in centro una giovane signora, nostra vicina di scompartimento, impiegata alla televisione locale; ad attenderla c'è il marito, che è venuto a prenderla con un grosso monovolume. L'hotel da noi prescelto è al completo e con un taxi ci facciamo portare all'unico altro albergo segnalato dalla Lonely Planet; non conoscendo altre possibili sistemazioni decidiamo di fermarci per il resto della notte, anche se il posto è assai squallido.

Venerdì 1 ottobre - Con il sole appena sorto, decidiamo di uscire per cercare una nuova sistemazione, da utilizzare nel caso in cui non fossero previsti autobus diretti a Hotan con partenza in serata. Scopriamo così che l'albergo è parte integrante del terminal degli autobus e che l'unica partenza giornaliera per Hotan è alle ore 13. Non ci resta che cercare un altra sistemazione. Ci spostiamo a piedi, passiamo di fronte ad un hotel, anch'esso al completo e ci rechiamo nuovamente al Kuchè Binguan, l'hotel a cui ci eravamo diretti nella notte. Alcune camere si sono liberate; ne blocchiamo subito una. Recuperati i bagagli, ci trasferiamo. Dopo una doccia rigenerante usciamo nuovamente a piedi, attraversiamo il bazar alimentare e in Tianshan Lu saliamo sull'autobus n.1 per raggiungere la parte più vecchia della città dove ogni venerdì vicino al ponte di Renmin Lu viene allestito il grande bazar di Laocheng. Il mercato è molto affollato, ma solo di persone appartenenti a diverse etnie tutte di ceppo caucasico mentre si nota l'assoluta mancanza di cinesi; molti sono gli anziani con il caratteristico copricapo e l'immancabile barba bianca. Ci sono diversi imbonitori che vendono prodotti e medicine tradizionali preparate con radici, erbe ed animali essiccati. Passeggiamo per le vie della città vecchia, molte case sono costruite con mattoni di terra; a piedi raggiungiamo il palazzo reale di Quici, che dista circa un chilometro dal bazar. Residenza dei re di Quici fino agli inizi del XX° secolo, è stato recentemente restaurato ed in parte anche ricostruito. La parte più interessante è sicuramente il museo, ospitato all'interno del palazzo, nelle cui sale sono esposte ceramiche, attrezzi da lavoro, mobili, suppellettili e tre scheletri di cui uno ancora con la cassa decorata che lo conteneva. Visitiamo anche la piccola moschea ed il giardino che circonda il vasto palazzo, in cui, in un ala laterale risiede ancora l'ex re, ultimo discendente della dinastia. In autobus facciamo rientro in città per fermarci in uno dei tanti ristoranti che servono i classici spiedini, piatto tipico di questo angolo di Cina.

Sabato 2 ottobre - A piedi raggiungiamo Wuyi Zhonglu, un ampio viale dove al mattino si tiene un piccolo mercato ortofrutticolo allestito dai contadini provenienti dalle campagne circostanti. Vi giungono con tricicli a motore che trainano piccoli rimorchi o con carretti trainati da asini, per vendere in città i prodotti dei loro campi. Alle 10,30 il mercato finisce; molto sbrigativamente intervengono i poliziotti che fanno ritirare le mercanzie esposte e sgomberare l'area. Facciamo ritorno in hotel passando per il parco adornato con crisantemi e lanterne colorate, adiacente a Wenha Zhonglu. Preparati i bagagli, in taxi raggiungiamo il terminal degli autobus. Nel salire sul mezzo su cui viaggeremo, dotato di strette cuccette a due piani disposte su tre file, constatiamo come l'autobus sia stato scambiato per un autocarro adibito al trasporto di merci; tutta la parte posteriore è infatti occupata da pacchi e scatoloni con merci di varia natura e sul pavimento tra le cuccette sono stati sistemati lunghi tubi in ferro su cui si è costretti a camminare per raggiungere il posto assegnato. Alle 13,30 lasciamo il terminal di Kuqa; lasciata la città, percorriamo strade secondarie tra campi coltivati a cotone orlati da alti pioppi. Siamo nel pieno della fioritura e la raccolta dei candidi fiocchi ha appena avuto inizio; i contadini sono al lavoro e grandi soffici mucchi di cotone sono caricati da uomini e donne su rimorchi e carretti. Imbocchiamo la strada 210 che raggiunge Hotan attraversando il deserto del Taklamakan. Con il passare dei chilometri, vediamo le prime piccole dune, mucchi di sabbia che si infiltrano fra i campi coltivati. Poi il deserto prende il sopravvento. Il paesaggio piatto e monotono, è interrotto da cumuli sabbiosi cosparsi di radi cespugli su cui sono state sistemate reti in plastica e paratie in bambù che hanno lo scopo di arrestare l'avanzata della sabbia portata dal vento e di impedire che la stessa invada la sede stradale. Alle 23 giungiamo al terminal dei bus di Hotan ed in taxi ci mettiamo alla ricerca di un hotel. I pochi alberghi in cui possono alloggiare anche gli occidentali sono tutti al completo e dopo un lungo quanto vano peregrinare ci fermiamo nella hall dello Zhe Jang Hotel.

Domenica 3 ottobre - Alle 8 ci viene assegnata una camera lasciata libera da clienti mattinieri. Doccia rigenerante ed alle 9 siamo in strada. Ci rechiamo alla vicina piazza Tuanjie Guangchang, un'enorme spianata di marmo dove ai piedi di un monumento raffigurante Mao che stringe la mano ad un uomo uiguro, alcune persone stanno facendo esercizi ginnici a suon di musica. Ci incamminiamo quindi lungo Bejing Xilu e Talbei Donglu, i viali che collegano il centro con l'area in cui si tiene il mercato domenicale. Avvicinandoci al mercato, l'animazione aumenta; i tavolini disposti sui marciapiedi da chioschi e ristoranti, sono affollati di persone intente a fare la prima colazione con zuppa e tagliolini. Ci addentriamo nel quartiere percorrendo stradine secondarie; ci colpisce la merce posta in vendita all'esterno di un negozio: pelli conciate di diversi animali, tra cui volpe, lupo, cane. A pochi metri di distanza qualcuno ha allestito un piccolo mercato con piccioni, galline e tortore, racchiusi in grosse ceste. Proseguiamo lungo le vie esterne che fiancheggiano il mercato. E' un susseguirsi di venditori: sui piccoli banchi, anitre e polli già cucinati, verdure, frutta, giornali. In uno spiazzo un poco più appartato alcuni barbieri stanno radendo alcuni anziani. Entriamo nell'area del mercato vero e proprio attraverso un entrata secondaria; notiamo subito che ad ogni attività è stato riservato un settore: quello per i ristoranti, per i venditori di granaglie, di frutta, di abbigliamento, di cappelli siano essi in astrakan, a turbante o il classico copricapo uiguro indossato da uomini e ragazzi. Il profumo di pane fresco ci guida al settore dei fornai che dai loro forni fanno uscire nan e pani di tipo e fogge diverse. Giriamo anche per gli altri settori, quelli dei fabbri, dei commercianti di rottami ferrosi, dei falegnami, dei macellai. Nel primo pomeriggio la presenza di uomini e donne, tutti ugualmente interessanti e fotogenici aumenta e con essi la calca e la confusione. Dopo un ultimo giro alle 16,30 lasciamo il mercato e a piedi percorrendo Talbei Xilu, ci portiamo alla stazione dei bus. Mentre cerchiamo di decifrare orari e caratteri sui tabelloni appesi alle pareti veniamo avvicinati da una ragazza in partenza per Urumqi, che parla inglese. Si offre, come sempre capita quando si ha la fortuna di incontrare qualcuno che conosce lingue straniere, di aiutarci; con lei che ci fa da interprete tutto si fa più facile ed acquistiamo i biglietti per Kargilik. La ringraziamo e facciamo ritorno in hotel, non senza aver fatto sosta per la cena presso le bancarelle del mercato notturno uiguro che si tiene in un angolo di piazza Tuanjie Guangchang.

Lunedì 4 ottobre - In taxi ci facciamo portare alla stazione degli autobus dove alle 10,30 ora ufficiale di Pechino, corrispondenti in realtà alle 8,30, abbiamo il bus per Kargilik. Lasciando la città, non possiamo fare a meno di notare che i grossi centri urbani visti finora dispongono tutti della stessa tipologia di disposizione urbanistica, che rende di fatto tutte le città uguali. La strada si inoltra fra campi coltivati a riso e a granoturco, interrotti dopo una trentina di chilometri, da una steppa sabbiosa su cui crescono radi cespugli erbosi. I lavori per la costruzione della nuova strada, parallela all'attuale ed alla ferrovia proseguono alacremente. Con l'avvicinarsi dei grossi centri abitati, il paesaggio cambia nuovamente per la presenza di alberi e campi coltivati. Alle 15,15 giungiamo al terminal di Kargilik; in taxi ci facciamo portare all'albergo prescelto ma il taxista pur affermando di conoscerlo, dopo un lungo giro per la città ci lascia da tutt'altra parte. Solo grazie ad un altro taxista riusciamo a raggiungere l'hotel in cui stamane da Hotan abbiamo fatto prenotare telefonicamente una stanza; è qualche chilometro fuori città, al bivio con la statale 219 che porta in Tibet. Depositati i bagagli, ritorniamo in centro; purtroppo è difficile intendersi con gli autisti dei mezzi pubblici in quanto essendo uiguri non conoscono il cinese e quindi è impossibile far leggere loro le traduzioni in cinese riportate sulla Lonely Planet o i biglietti scritti dal personale delle reception degli alberghi che essendo di origine cinese, a loro volta non conoscono lo uiguro. Riusciamo con qualche difficoltà a farci portare al bazar coperto che si trova vicino alla Moschea, nella parte più vecchia della città. E' un susseguirsi di viuzze sterrate, su cui si affacciano i portoni in legno lavorato di vecchie case in mattoni crudi, che celano cortili ombreggiati da pergolati. Un uomo, vedendoci passeggiare per la via polverosa in cui i bambini curiosi sono indecisi se continuare i loro giochi od osservarci, ci invita ad entrare nel cortile di casa e a sedere all'ombra del pergolato da cui pendono tralci di vite e grappoli d'uva. Attorno al cortile, un patio con travi lavorate su cui si affacciano le diverse camere della casa, dove sono disposti dei tavoli su cui il padrone di casa prepara torroni con noci, mandorle e caramello che vende ogni sera al mercato notturno che si tiene sulla piazza antistante la moschea. Ed infatti più tardi, è li che lo ritroveremo. Passeggiando per i vicoli, incontriamo solo donne e bambini; in un angolo più appartato, scoviamo il vecchio cimitero con lapidi e tombe in terra impastata con paglia che si trova a ridosso della Jama Masiid, la vecchia moschea costruita tra il 1308 ed il 1400 la cui facciata arricchita da minareti e con una cupola piastrellata di color verde smeraldo domina le basse casupole del borgo storico. Varcando la soglia, si accede ad un cortile alberato delimitato ai lati dalle sale in cui i fedeli si raccolgono in preghiera su ormai logori tappeti. Facciamo rientro in albergo utilizzando l'autobus urbano (linea n.2) che ha il capolinea di fronte al terminal dei bus e che dopo aver percorso le vie adiacenti a bazar e moschea, prosegue la sua corsa anche fuori città ed ha una fermata proprio di fronte al nostro albergo.

Martedì 5 ottobre - Non è ancora sorto il sole, quando usciamo dall'hotel per portarci all'incrocio della vicina statale e cercare nello scarsissimo traffico, un taxi che ci permetta di raggiungere il terminal dei bus. Si ferma un ragazzo uiguro, il quale ci fa capire che per l'importo chiesto dai taxi, che applicano una tariffa fissa, è disposto a condurci al terminal con la propria auto. Accettiamo ed in dieci minuti siamo a destinazione. La biglietteria è ancora chiusa; mentre ne aspettiamo l'apertura, veniamo avvicinati dal proprietario di un taxi collettivo che ci prospetta l'opportunità di raggiungere Kashgar in auto. Accettiamo, in auto con noi due donne uigure che alloggiano all'hotel annesso al terminal. Alle 9 (7 ora locale) con quaranta minuti di anticipo sull'orario di partenza dell'autobus, lasciamo Karghilik con una Volkswagen Santana. Il traffico è scarso, qualche auto e qualche carretto. La strada, un susseguirsi di rettilinei dal fondo sconnesso, attraversa campi coltivati prevalentemente a cotone, pioppeti e per un breve tratto una landa desertica. Avvicinandoci a Kashgar il traffico aumenta in modo considerevole; dopo quattro ore di viaggio siamo al terminal dei bus della città. In taxi raggiungiamo l'hotel che abbiamo scelto; lasciati i bagagli usciamo a piedi. Camminando lungo Seman Lu raggiungiamo la piazza antistante la Moschea Id Kah e quindi proseguendo lungo Jiefang Bellu arriviamo nella grande piazza centrale su cui sorge il monumento a Mao. Ci rechiamo all'adiacente parco Renmin per poi ritornare verso la Moschea attraverso la città vecchia, in un susseguirsi di vicoli stretti e bui che conducono alle diverse abitazioni e di strade affollate su cui si affacciano animati tipici ristoranti uiguri.

Mercoledì 6 ottobre - A piedi raggiungiamo la Moschea Id Kah, costruita nel 1442 ma più volte rimaneggiata nei secoli successivi. Pagato il biglietto ed oltrepassata la maestosa facciata, ci ritroviamo in un vasto cortile alberato. Stretti vialetti conducono alla sala delle preghiere, il cui soffitto presenta riquadri in legno scolpiti e dipinti che sono inseriti, come elementi decorativi, fra le travi del tetto. Tutt'intorno, sotto tettoie disposte lungo i muri perimetrali del cortile, i tappeti utilizzati per le preghiere dei fedeli. Lasciata la Moschea, scendiamo lungo Renmin Xilu alla grande piazza centrale su cui si erge imponente il monumento a Mao, per raggiungere la tomba di Apakh Hoja. Utilizziamo il bus n. 20; dopo aver attraversato la parte orientale della città, scendiamo al capolinea da dove si diparte il viale alberato che conduce al sito tombale. Varcato il portone d'ingresso addossato ad una minuscola moschea, raggiungiamo un secondo muro di cinta entro il quale, su una spianata in parte piastrellata ed in parte trasformata in giardino fiorito, sorge il mausoleo di Apakh Hoja. Decorato con maioliche multicolori, è molto simile nell'aspetto ad una moschea, per la grande cupola centrale contornata da quattro minareti e per l'adiacente cimitero con centinaia di tombe antiche e recenti. Costruito nel 1640, raccoglie al suo interno i sepolcri di Apakh Hoja, Aji Muhammad ed altre settantadue persone appartenenti a cinque generazioni di Hoja. L'interno, molto semplice e spoglio, con le tombe ricoperte da drappi damascati e le pareti bianche e polverose, contrasta con la bellezza del rivestimento esterno. Facendo rientro in città, scendiamo dal bus nei pressi del mercato domenicale ed a piedi accediamo ad un altra parte dell'antica cittadella, costituita da case in terra e fango edificate su una bassa collinetta, circondata oggi da giardini pubblici. L'attraversiamo; camminiamo per i vicoli, osservando case, cortili, portoni e le persone che vi abitano e vi lavorano. Dopo aver raggiunto l'adiacente zona panoramica da cui si ha una bella vista sulla città vecchia, con il bus n. 28 ci rechiamo alla stazione ferroviaria situata ad una decina di chilometri dal centro città, per acquistare i biglietti del treno che prenderemo lunedì prossimo quando lasceremo Kashgar alla volta di Turfan. Facendo rientro in hotel, ci fermiamo agli uffici della Kashgar China Int. Travel Service per valutare la possibilità di raggiungere il lago Karakul con un mezzo noleggiato da loro. Concludiamo la trattativa senza grosse difficoltà e ci accordiamo per l'indomani mattina alle ore 10,30 (8,30 locali).

Giovedì 7 ottobre - Alle 8,30 ci troviamo nella hall dell'hotel con miss Chao del CITS. Ci presenta Osman, l'autista che con la sua auto, ci dovrà condurre lungo la Karakorum Highway. In pochi minuti siamo pronti per la partenza; imbocchiamo la statale 314, una strada larga e ben tenuta che si snoda pianeggiante tra campi coltivati. Procediamo lentamente mentre il telefono cellulare dell'autista squilla in continuazione. Una trentina di chilometri oltre Upal l'autista si ferma, ci dice di aspettare in auto e si allontana a piedi. Ne approfittiamo per scattare alcune foto, mentre il telefono lasciato sul cruscotto dell'auto continua a squillare. Finalmente ritorna; dopo l'ennesima telefonata ci dice che deve ritornare a Kashgar perchè ha dimenticato il passaporto. Scopriremo in seguito, che si è fermato deliberatamente qualche centinaio di metri prima del posto di controllo della polizia; probabilmente se avesse proseguito gli sarebbe stato più complicato tornare indietro. Percorriamo in senso contrario la strada fatta poco prima, oltrepassiamo Upal e poco dopo incrociando un taxi ci fermiamo nuovamente. Osman ci dice che dobbiamo proseguire con il nuovo arrivato; lui fa ritorno in città. Facciamo così conoscenza con il nuovo tassista che però diversamente dal precedente non conosce una parola d'inglese. Alla fine il giochetto ci costa oltre un'ora e mezzo, in termini di tempo. Oltrepassato Ghez, piccolo villaggio, dove al posto di polizia bisogna esibire i passaporti, la strada si fa più stretta e tortuosa e si immette nel canyon formato dalle acque impetuose del fiume omonimo. Si comincia a salire, ai lati della carreggiata, ripide pareti di arenaria rossa mentre di fronte si staglia la massa imponente del monte Kungur (7.719 mt.). Siamo in una zona mineraria e numerose sono le gallerie, i cui imbocchi si vedono sui fianchi della montagna. All'improvviso sbuchiamo sull'altopiano del Pamir; davanti a noi una vasta zona acquitrinosa oltre la quale si aprono vedute fantastiche sulle alte dune chiamate dalla gente del luogo Kumtagh, Montagne di Sabbia. Siamo a 3.200 mt. di quota, ancora un lungo tratto in falsopiano ed eccoci ai 3.680 mt. del lago Karakul. Ci compare di un colore azzurro intenso, dominato dalle cime innevate del Kungur e del Muztag Ata (7.546 mt.). Lungo le rive qualche yurta, una vasta piana, terreno di pascolo per capre e yak e più lontano il villaggio kirghiso di Subash. Dopo aver preso possesso della yurta in cui alloggeremo, raggiungiamo a piedi la riva del lago. Due ragazzi stanno smontando una yurta; con parole e gesti cercano di farsi capire. Ci spiegano che ritornano al villaggio dove trascorreranno l'inverno e mi chiedono di aiutarli per smontare la pesante intelaiatura in legno che sostiene la parte superiore della copertura in feltro.

Venerdì 8 ottobre - Quando usciamo dalla nostra yurta, il sole non è ancora sorto da dietro le montagne. Possiamo così vedere i primi raggi di sole sbucare attraverso i picchi del Kungur per irradiare il lago ed il villaggio di Subash. Fa parecchio freddo, ci mettiamo alla ricerca del nostro taxista. Lo troviamo all'interno di una casupola in pietra, seduto accanto alla stufa intento a sorbirsi il chai, ospite di una famigliola formata da una giovane coppia con il loro figlioletto. Isham (29 anni) e sua moglie Enipè (25) ci invitano ad entrare per scaldarci al tepore del fuoco e a bere il thè kirghizo fatto con latte e burro salato di yak. Scopriamo che il bimbo è caduto qualche giorno fa e che non muove per il dolore, il gomito del braccio sinistro. Sembra gonfio ed appena glielo si tocca il piccolo si lamenta; tutto fa pensare ad una lesione ossea. Essendo diretti a Tashkurgan dove c'è un ospedale, l'autista ci propone di dare loro un passaggio per portare il bambino a fare una radiografia. Alle 8,30, partiamo. La strada larga e ben tenuta costeggia l'ultima parte del lago Karakul per poi attraversare un vasto altopiano dove pascolano pecore, capre, yak e cammelli. Una serie di ampi tornanti e raggiungiamo quota 4.000 mt.; la vista sulla piana sottostante è spettacolare. Passato il valico si scende lentamente con lunghi rettilinei. Il paesaggio ora è brullo; colline, interrotte da chiazze colorate di alberi con le foglie ormai gialle, qualche piccolo villaggio con gli animali al pascolo e campi coltivati. Dopo circa due ore siamo a Tashkurgan, lasciamo la giovane coppia ed il loro bimbo all'ospedale e ci facciamo portare alle rovine di un antico castello risalente al VI° secolo, di cui sono rimasti solo pochi muri perimetrali merlati, da cui si gode di una bella vista sulla vallata sottostante. Diamo appuntamento all'autista per il pomeriggio e a piedi girovaghiamo per il mercato e le vie del centro cittadino. La popolazione è di origine tagika; gli uomini indossano un berretto simile alla coppola siciliana e le donne un basso cappello cilindrico fermato sulla testa da un foulard colorato. Alle 16 siamo di fronte all'ospedale e ci ritroviamo con l'autista e la coppia. Marsalì ha il braccio incrinato, ma non è stato fasciato o ingessato; non sappiamo se per il costo di tale operazione. Già il costo della radiografia era stato motivo di grossa preoccupazione; fino a pochi minuti prima della partenza, Isham ed Enipè erano indecisi se portare il piccolo all'ospedale a causa delle loro ristrettezze economiche. Conosciuto il costo della radiografia, una cifra per noi irrisoria, Adriana aveva fatto scivolare nelle mani di Enipè una banconota affinchè potessero pagare la prestazione medica; diamo al bimbo anche una macchinina di plastica che abbiamo comprato al mercato e che lo rende raggiante e gli fa dimenticare il dolore. Possiamo rientrare al lago Karakul. Poco fuori Tashkurgan ci fermiamo in un piccolo villaggio per fotografare la gente che lavora nei campi, ma facciamo tappa anche al villaggio di Subash dove vivono genitori e fratelli della coppia, che non sanno come sdebitarsi per il nostro gesto. Dopo averci offerto pane e the kirghizo che loro sorbono facendo una zuppa, ci invitano a cena. Ringraziamo e decliniamo l'invito; con un vento gelido ed il cielo coperto di nubi, le prime dal nostro arrivo in Cina, facciamo rientro alla nostra yurta.

Sabato 9 ottobre - Questa notte ha fatto decisamente freddo, le pozze d'acqua sono gelate ed all'interno della yurta alle 7,30 la temperatura è di 4,8 gradi. Anche se fredda, la giornata è bella e soleggiata; a piedi percorriamo i due chilometri che separano il L.K. resort da un piccolo villaggio che sorge sulla strada poco prima del bivio per Subash. Gli abitanti stanno facendo uscire dai recinti addossati alle case, per portarli al pascolo, i propri animali: pecore, capre, yak. Giriamo fra le basse casupole di pietra; una famiglia, abitante in una di esse, è stata colpita da un lutto. Vediamo arrivare dalle case vicine, donne con il capo avvolto in foulard bianchi mentre gli uomini vestiti con pesanti pastrani neri e colbacchi di pelo attendono davanti all'abitazione del defunto. Facciamo rientro, camminando lungo la statale che porta al Khunjerab pass percorsa a quest'ora esclusivamente dai camion provenienti dalle miniere o da quelli dei trasporti internazionali che arrivano dal Tagikistan. Arrivati al resort, salutiamo Isham ed Enipè; ci apprestiamo a partire, quando il taxista fa salire in macchina una turista cinese di Hong Kong. Alle nostre rimostranze, la signora che parla inglese, ci spiega che essendo il nostro autista, un taxista governativo, può disporre del proprio mezzo come crede e questo anche se noi abbiamo noleggiato e pagato l'auto per tre giorni e per nostro uso esclusivo. Ci risulta ora chiaro, il comportamento tenuto ieri, quando a titolo di pagamento per il trasporto all'ospedale di Tashkurgan ha fatto incetta di yogurt, latte e formaggio nella casa dei genitori della coppia, o del fatto che nonostante le nostre rimostranze oggi abbia caricato, dietro compenso, la turista cinese. Il traffico è molto scarso, dopo una sosta alle Montagne di Sabbia, puntiamo direttamente su Kashgar. Pur essendoci il sole, il cielo è grigio per la quantità di polvere e smog sospesi nell'aria. Alle 16,30 siamo in città, ci concediamo mezza giornata di relax e ne approfittiamo per una doccia calda dopo due giorni in cui non abbiamo toccato acqua.

Domenica 10 ottobre - Oggi è il primo giorno senza sole e a causa del vento la giornata è decisamente fresca. Ci spostiamo a piedi; raggiungiamo prima la piazza antistante la Moschea Id Kah, poi la piazza centrale con la statua di Mao ed infine il mercato domenicale. C'è poca animazione e molte bancarelle sono ancora in fase di allestimento. Passeggiamo nelle aree riservate ai venditori di stoffe e ai rigattieri. Raggiungiamo quindi la fermata dell'autobus; saliamo sul bus della linea 16 che collega il centro città con la zona periferica dove ogni domenica si tiene il mercato del bestiame. Scesi dall'autobus, districandoci fra animali, carretti ed autocarri parcheggiati in modo disordinato, ci avviciniamo all'ingresso. Superata l'area destinata alla ristorazione, in cui ristoranti semplici e spartani cucinano spaghetti e carne bollita a ciclo continuo ed un piccolo mercato frequentato prevalentemente da donne, ci ritroviamo in mezzo a pecore, capre, asini, vitelli, cavalli e cammelli disposti ordinatamente lungo corde e staccionate a cui sono legati. Il mercato è animatissimo, tanta la gente presente e tantissimi gli animali. Venditori e compratori discutono e contrattano; ad affare fatto, una stretta di mano sancisce l'accordo. Sono per la maggior parte di origine uigura, ma dai differenti copricapo si percepisce la presenza di uomini di altri ceppi etnici. Verso sera, quando uomini ed animali cominciano a raggiungere i più disparati mezzi di trasporto, per fare ritorno ai villaggi d'origine, anche noi lasciamo il mercato ed in autobus ci portiamo al mercato domenicale, ora più affollato ma tuttavia meno interessante e folkloristico rispetto a quello di Hotan.

Lunedì 11 ottobre - Usciamo di buon ora per un ultimo giro nei vicoli della città vecchia. Imbocchiamo Niuperbesi Lu, la via dei rigattieri che da Seman Lu, il viale su cui sorge il nostro hotel, conduce direttamente alla piazza antistante la Moschea. Passeggiamo e curiosiamo fra i molti negozi che vendono oggetti più o meno antichi; ci fermiamo da un simpatico vecchietto per effettuare qualche acquisto. Ritornati in hotel e ricomposti i bagagli ci dirigiamo in autobus (n. 28) alla stazione ferroviaria per prendere il treno K 9788 in partenza alle 13,16 e diretto a Daheyan. Ci sistemiamo comodamente nello scompartimento dotato di quattro soft sleeper, le cuccette morbide, che condividiamo con due ragazzi cinesi. Lasciamo Kashgar. Dal finestrino, il paesaggio che appare ai nostri occhi è monotono e ripetitivo; una infinita landa desertica di sabbia e sassi. Ovunque reti o canne, infisse nel terreno, per fermare la sabbia ed impedire che la stessa portata dal vento possa invadere i binari. Anche il tratto da Kashgar a Daheyan è sottoposto ai lavori di ammodernamento della linea ferroviaria; un susseguirsi infinito di cantieri costringono il convoglio a procedere a velocità ridotta e fanno accumulare un discreto ritardo.

Martedì 12 ottobre - Dopo 1.445 km. e ventitre ore di viaggio, eccoci finalmente a Daheyan. E' quasi mezzogiorno. Prima di lasciare la stazione ci rechiamo in biglietteria, dove acquistiamo i biglietti per la tratta successiva, quella che ci porterà a Dunhuang. Usciti sul piazzale che viene utilizzato come terminal degli autobus, ci mettiamo alla ricerca del mezzo che collega la stazione ferroviaria con il centro di Turpan, distante cinquantadue chilometri. Vediamo solo autobus con le cuccette, utilizzati per le grandi distanze; chiediamo informazioni e a gesti ci indicano la via in cui si trova il terminal. Ci incamminiamo; dopo qualche centinaio di metri un anziano signore ci ferma e ci chiede dove stiamo andando; alla nostra risposta, ci indica il cancello dell'autostazione che è pochi metri dietro di noi. Ci accompagna all'interno e successivamente al minibus, quasi al completo, che sta aspettando sul retro. Pochi minuti e partiamo; la strada è una continua e lunga discesa, essendo Turpan situata in una depressione 154 metri sotto il livello del mare. Un oasi, nel deserto che la circonda, ma anche una grande ed insignificante città, caratterizzata da larghi viali ed enormi palazzi. Giunti al terminal cittadino, in taxi raggiungiamo il Turfan Hotel, albergo in cui alloggiano anche i gruppi dei viaggi organizzati. Lasciati i bagagli ci apprestiamo ad uscire; nella hall veniamo fermati da Amdulla, un ragazzo che fa la guida turistica e che ha un piccolo van e che si propone per il giro dei dintorni che vorremmo fare nella giornata di domani. Parla inglese, gli spieghiamo il nostro programma e così ci accordiamo per il giorno seguente. Ora possiamo uscire ed iniziare la visita ai monumenti della città; a piedi ci dirigiamo alla moschea di Emin. Ci incamminiamo verso la periferia; la strada polverosa che dapprima si snoda attraverso gruppi di case in fango con cortile e pergolato, diventa nell'ultimo tratto un sentiero fra i filari dei vigneti. Improvvisamente ci troviamo sul piazzale antistante i giardini della moschea. Purtroppo il parco è mal tenuto; erbacce e rottami si sono sostituiti ai fiori delle aiuole. Molto bella e caratteristica è invece la moschea, costruita nel 1777, in terra, con colonne e soffitto in legno ed ancora più bello e caratteristico il minareto, in stile afgano, decorato con mattoni in rilievo. Al termine della visita, percorriamo a ritroso la strada fatta in precedenza e ci rechiamo al bazar dove ci fermiamo a cena presso le bancarelle che cucinano cibo espresso.

Mercoledì 13 ottobre - Alle 9,30 ci ritroviamo nella hall dell'hotel con Amdulla, con cui ieri ci eravamo accordati per la visita dei dintorni di Turpan; ad attenderci nel piazzale il suo piccolo e piuttosto malandato van. Lasciamo la città e ci dirigiamo verso Tuyok utilizzando l'autostrada G30; la zona è desertica e disseminata di numerose pompe utilizzate per l'estrazione del petrolio. Costeggiamo i Monti Fiammeggianti, così chiamati perchè le pareti rocciose illuminate dai raggi del sole dovrebbero assumere una colorazione rossastra tale da farle sembrare delle lingue di fuoco; sicuramente il nostro orario di transito non è il più indicato e non vediamo nulla di tutto ciò. L'area sassosa e desertica lascia presto spazio ad estesi vigneti inframezzati da piccoli villaggi con curiose costruzioni che presentano numerosi fori di aerazione e che servono per lo stoccaggio su apposite intelaiature in legno dei grappoli d'uva che qui vengono fatti essiccare per poi essere sgranati. La strada asfaltata assai poco trafficata si inoltra in un canyon, le cui pareti punteggiate da grotte scavate nella roccia, preannunciano l'arrivo a Tuyok. Pagato il biglietto d'ingresso, ci inoltriamo nelle strette viuzze sterrate che si snodano fra le case di fango tipiche dell'architettura uigura tradizionale. A sovrastarle la collina su cui si erge il Mazar, la tomba del primo musulmano uiguro, protetta da un alto muraglione. Raggiungiamo quindi Gaochang, antica capitale e fino al XIV° secolo tappa importante lungo la via della seta, di cui però restano poche rovine. Decidiamo di visitare la vasta area archeologica prendendo posto su un carretto trainato da un asinello e raggiungere sotto il caldo sole di mezzogiorno, il punto più lontano del sito, il luogo dove sorgeva un grande monastero buddhista. Poco rimane della vecchia costruzione che presenta alcune pitture murali, sbiadite ma ancora visibili in alcune nicchie laterali. Ritorniamo verso Turpan per raggiungere le rovine di Jiaohè, le cui costruzioni in argilla si sono conservate meglio di quelle di Gaochang. Alle 17 facciamo ritorno in città e ci fermiamo al bazar dove approfittiamo della presenza delle bancarelle che vendono cibo per farci cucinare, al momento, un piatto di tagliolini. Recuperati i bagagli ci rechiamo quindi al terminal da cui partono i minibus che collegano Turpan con Daheyan; purtroppo scopriamo che gli orari in nostro possesso non sono corretti e che non ci sono più corse che permettono di raggiungere la stazione ferroviaria. Considerato che per le ore 20 è previsto l'arrivo di un autobus proveniente da Urumqi diretto a Dunhuang, decidiamo di rinunciare al comodo tragitto in treno e di prendere posto sul bus in arrivo. Alle 20,45 lasciamo il terminal. Il traffico è intensissimo; una interminabile processione di autotreni in entrambi i sensi di marcia ci accompagnerà per tutto il viaggio.

Giovedì 14 ottobre - Notte in autobus fra traffico, code interminabili, lavori in corso, buche, scossoni e polvere a causa della costruzione della nuova autostrada. Siamo in grande ritardo; la strada, o meglio ciò che resta, è un enorme ed infinito cantiere. Ma anche quando il tratto interessato dai lavori che proseguono ininterrottamente ventiquattro ore al giorno termina e ritroviamo la vecchia strada, le condizioni non migliorano. Un susseguirsi infinito di buche, avvallamenti e rappezzi. A venti chilometri da Dunhuang, improvvisamente il mezzo si ferma: un'avaria, probabilmente la pompa del gasolio. Restiamo fermi circa un'ora con i conducenti che cercano, spurgando il filtro, di far ripartire il mezzo. Ogni tentativo è purtroppo vano e dopo una serie di telefonate, dall'autostazione inviano un autobus per condurci a destinazione. Il ritardo si conta a ore, arriviamo a Dunhuang che è ormai mezzogiorno. Sistematici in albergo, dopo una doccia rigenerante usciamo e raggiungiamo la zona delle dune. L'area, un tempo fertile oasi tra alte dune sabbiose è ora un immenso luna park fatto a misura di turista cinese. E' preso d'assalto da una massa colorata e vociante che con ogni mezzo arranca lungo i crinali sabbiosi; chi a piedi, riparando le proprie scarpe dalla sabbia con vistosi sovra-scarpe a stivale di colore arancio che arrivano al ginocchio, chi in fuoristrada, chi su un cammello. Tutti, alla ricerca di un punto panoramico da cui godersi il tramonto.

Venerdì 15 ottobre - Sveglia alle 7 e dopo un'abbondante prima colazione a buffet, usciamo per recarci alla fermata da cui è prevista la partenza dell'autobus diretto alle grotte di Mogao, uno dei più straordinari patrimoni di arte buddhista. Situata nei pressi dell'hotel Dunhuang, non è di immediata individuazione; scopriremo che si tratta della linea che collega la città alle grotte ed alla stazione ferroviaria. Prendiamo il bus in partenza alle 9 ed in circa trenta minuti raggiungiamo l'antico complesso, situato a venticinque km. dalla città, che nel momento di massimo splendore ospitava diciotto monasteri ed oltre 1400 monaci. Pagato il biglietto, ci uniamo ad altri occidentali per costituire un gruppo di una quindicina di persone ed usufruire dell'accompagnamento obbligatorio di una guida di lingua inglese. Ci accompagna nel nostro tour, una signora, studiosa dell'arte delle grotte, che ha il dente avvelenato con russi, americani ed inglesi i quali, nei primi anni del '900 hanno depredato le grotte portando all'estero testi, affreschi e parti di statue. Iniziamo la visita dalla grotta della libreria (n.17) per visitare quindi le grotte n. 16 - 336 - 337 - 335 - 320 - 259 - 249 - 244 - 96 - 46 e 55. Sono tutte molto belle, alle pareti affreschi riproducenti scene di vita locale dell'epoca e statue di Buddha nelle diverse raffigurazioni: del passato, del presente, del futuro. Nel corso dei secoli alcuni affreschi hanno subito restauri, ma moltissimi sono ancora nelle condizioni originali. In questi ultimi è possibile vedere l'opera dei differenti artisti che hanno lavorato, utilizzando a volte anche materiali diversi nell'esecuzione delle pitture. Emblematiche nella stessa grotta, due figure molto simili dipinte da differenti autori; una con il tratto più nitido e con i colori più brillanti, l'altra con alcuni colori ossidati che hanno reso di un uniforme colore marrone le tinte più chiare. Fatto questo, dovuto alla diversa qualità dei pigmenti usati per la colorazione; più scadenti quelli che con il passare dei secoli si sono ossidati. Giungiamo al termine della visita durata oltre due ore, senza accorgerci del tempo passato, grazie all'inusualità del posto, alla bellezza degli affreschi e ad un gruppo meno numeroso e più disciplinato delle tante comitive di turisti locali, che ci ha permesso di visitare dodici grotte in luogo delle dieci usualmente concesse. Dopo aver ammirato e fotografato la parte esterna delle grotte dove peraltro sono presenti anche alcuni affreschi raggiungiamo il centro museale, dove oltre a dipinti e manoscritti sono state riprodotte alcune grotte di epoche differenti. Vediamo e possiamo fotografare le grotte n. 249 - 275 - 285 - 419 - 217. Visitiamo anche nella parte superiore della struttura, una mostra di bronzi dedicati a Buddha, espressione dell'arte tibetana. Alle 13,30 dopo un ultimo sguardo alla parete rocciosa dove si trovano altre grotte non affrescate, riprendiamo l'autobus per il centro città. (corse programmate alle ore 12 - 12,45 - 13,30 - 14 - 15 - 16). Ritirati i bagagli in hotel, ci dirigiamo alla stazione ferroviaria situata fuori città, appena dopo un casello autostradale che attraversiamo, incredibilmente, a piedi. Acquistati i biglietti, non ci resta che attendere l'orario di partenza. Puntuali alle 16,10 lasciamo Dunhuang; sul treno, pochi passeggeri, in buona parte studenti di ritorno a casa per il week-end.

Sabato 16 ottobre - Alle 8 ci ritroviamo con Miuan, il taxista che ieri sera ci ha condotto all'hotel e con cui abbiamo concordato la visita alla Grande Muraglia Sospesa ed al Forte di Jiayuguan. Lasciato il taxi del turno notturno, si presenta con un immacolato fuoristrada; ci rechiamo subito alla Muraglia Sospesa, situata nove km. fuori città. In pochi minuti, primi ed unici visitatori, siamo all'ingresso. Scenograficamente d'impatto, la Muraglia è stata in parte ricostruita nel 1987 e nel tratto mediano che risale il crinale, è molto bassa e chiaramente artefatta; il camminamento largo poco più di un metro, porta a due torri di avvistamento poste sulla sommità di un costone roccioso. La salita è ripida e faticosa ma la fatica è ampiamente ricompensata dalla vista sulla città e sul deserto circostante. Ci spostiamo quindi al vicino Forte; è circondato da un vasto parco che ospita oltre allo zoo, negozi e mille attrazioni che tanto piacciono ai turisti cinesi. Raggiungiamo una delle porte della fortezza ed entriamo nel primo giro di mura, su cui una volta saliti, si può ammirare il panorama sulla pianura e sulle montagne circostanti imbiancate da una spruzzata di neve. Scendiamo nella corte centrale che ospita gli edifici un tempo occupati dal generale che comandava il forte; la ricostruzione di ambienti e personaggi permette di capire come si svolgeva la vita per militari e servitù all'interno della struttura. Ci rechiamo anche all'interessante museo in cui sono esposti cimeli, fotografie e plastici purtroppo privi di didascalie e/o spiegazioni in inglese, che narrano la storia del forte di Jiayuguan, la cui costruzione iniziò nel 1372. Terminata la visita, ci facciamo portare alla stazione ferroviaria; nonostante l'arrivo del treno sia imminente, riusciamo a comprare i biglietti, anche se solo per posti nelle affollate carrozze hard seats, la classe più economica, per il treno 1046 delle 12,42 in arrivo da Urumqi e che transita per Zhangye. A fatica troviamo posto nei vagoni affollati e sporchi all'inverosimile. Abbiamo purtroppo modo di constatare quanto maleducati ed irrispettosi delle regole siano la maggior parte dei viaggiatori cinesi che fumano nonostante i divieti e scatarrano in continuazione sputando poi direttamente sul pavimento del vagone. E come se non bastasse, ad intervalli regolari, il responsabile della pulizia passa uno strofinaccio sul pavimento spandendo ovunque sputi e sporcizia. Per nostra fortuna, il viaggio dura poco più di due ore ed alle 15,30 siamo alla stazione di Zhangye. In taxi raggiungiamo l'hotel prescelto; depositati i bagagli raggiungiamo a piedi la vicina stazione degli autobus per comprare i biglietti per il bus che domattina ci porterà a Xining. Ci spostiamo al quartiere degli antiquari ed al vicino tempio del Grande Buddha Reclinato, un vasto complesso a più padiglioni costruito intorno all'anno 1100, interamente in legno; il più grande ospita il Grande Buddha Dormiente, statua lunga trentacinque metri, circondata a sua volta da statue più piccole in terracotta. Anche se è prossima l'ora di chiusura riusciamo a visitare alcune delle sale più interessanti, in cui, oggetti, disegni e manufatti illustrano la storia del buddhismo e la storia della scrittura e dei disegni nei testi buddisti.

Domenica 17 ottobre - E' ancora buio quando lasciamo l'hotel per recarci alla vicina autostazione ovest. La partenza dell'autobus per Xining è prevista per le 7; puntuali lasciamo il terminal ma non la città, che attraversiamo percorrendo molto lentamente i viali quasi deserti, in cerca di potenziali passeggeri. Finalmente imbocchiamo la strada G227 in direzione della cittadina di Minje. Il paesaggio varia in continuazione: campi coltivati a granoturco bordati da alti pioppi, risaie, prati adibiti a pascolo ed in ultimo montagne, la cui vegetazione è costituita da arbusti e cespugli. Oltrepassato il villaggio di Shangwanwan, ha inizio il tratto montano; la strada si snoda tortuosa seguendo il corso di un fiume, siamo a circa 2.900 mt. di quota. Affrontiamo il Lig Bo Pass (3.685 mt.) coperto da una leggera spolverata di neve per raggiungere il villaggio di Ebaoxiang (3.450 mt.) da cui si diparte la strada che porta ai monti Qilian. Dopo aver attraversato un altopiano tra nuvole e nevischio con mandrie di yak al pascolo, affrontiamo l'innevato Jing Ling Yang Pass (3.767 mt.). Alle 12 giungiamo nella cittadina di Quinugshi Zuicun, breve sosta di una trentina di minuti e nuova lunga salita a tornanti che porta al Da Ban Tunnel (3.796 mt.), lunga galleria che permette di superare senza problemi il valico innevato. La ripida discesa ci fa perdere rapidamente quota, oltrepassiamo il bacino artificiale di Yangshan Dawan, a quota 2.950 mt. per proseguire tra campi e villaggi di contadini che tagliato il riso sono ora intenti a batterlo su spiazzi sterrati. Le nuvole ed il nevischio dei passi hanno nuovamente lasciato spazio al sole. Alle 15,15 siamo alla stazione dei bus di Xining, capoluogo del Qinghai. In taxi raggiungiamo l'ostello, preso possesso della camera, usciamo a piedi. Imbocchiamo Nan Dajie per raggiungere il mercato di Shujing Xiang che attraversiamo per recarci in Dong Dajie, animatissima via centrale con negozi alla moda, bar e ristoranti. Raggiungiamo l'affollatissimo mercato alimentare di Mojia Jie e quindi il mercato notturno serale di Daxin Jie dove ci fermiamo per la cena.

Lunedì 18 ottobre - Usciamo a piedi e percorrendo la trafficatissima Kunlun Zhonglu raggiungiamo il punto di partenza dei taxi collettivi per Huangzhong, villaggio a 26 km. da Xining dove si erge il Monastero di Kumbun. In mezz'ora siamo a destinazione; pagato il biglietto iniziamo la visita del vasto complesso monastico, adagiato sul fianco di una collina e conosciuto anche con il nome di Taer Si. C'è animazione; sul piazzale retrostante il portone d'ingresso molti fedeli hanno iniziato le orazioni facendo roteare le ruote delle preghiere. Fra comitive di cinesi accompagnati da guida con tanto di bastone con bandiera colorata e gruppi di fedeli tibetani, iniziamo la visita. Ci dirigiamo subito al Dharmapala Temple, curiosa costruzione a due piani con yak, orsi e pecore imbalsamati sulla balconata, edificata nel 1692 e ristrutturata nel 1802; ci spostiamo quindi alla Longevity Hall (del 1717) dedicata alla longevità del settimo Dalai Lama; alla vecchia casa dei monaci; alla Sala del Grande Sutra, la sala delle assemblee dei lama costruita nel 1611 e caratterizzata da colonne rivestite di tappeti e dal soffitto ricoperto di broccati; purtroppo non è consentito fotografare all'interno dei templi e neppure all'esterno quando gli stessi sono molto ravvicinati fra loro. Visitiamo quindi l'istituto di Medicina, edificio adibito a scuola per lo studio dei Sutra e della Medicina; lo Skayamuni temple; il Grande Padiglione delle Mattonelle Dorate costruito nel 1379 in onore di Tsong Kha Pa; il tempio di Kalachakra in stile tibetano; il Trpitaka Pavillon e per finire il Tantra Institute costruito in stile tibetano nel 1649 ed il Tsong Khapa Temple. Lasciato il monastero, ci dirigiamo al parcheggio dei taxi collettivi; dobbiamo aspettare una decina di minuti prima che una coppia di signori cinesi si aggiunga a noi ed il taxi sia così al completo. Alle 13 siamo nuovamente a Xining, recuperati i bagagli, raggiungiamo il terminal dei bus; con un po' di fortuna riusciamo a trovare ancora posto sull'autobus delle 15 diretto a Tongren. Lasciata la città, la strada comincia a salire; poco dopo il villaggio di Ping An, entriamo in autostrada. Non senza stupore, assistiamo a una situazione per noi nuova: l'autobus che si ferma in autostrada in prossimità dei villaggi per far scendere i passeggeri, i quali attraverso fori praticati nelle recinzioni raggiungono le loro abitazioni. Ne percorriamo un breve tratto; il necessario per oltrepassare il valico posto a 3.040 mt. utilizzando il Quingshanshan Tunnel. A Zabazmen imbocchiamo la provinciale S203, strada che si snoda attraverso una zona di vasti bacini artificiali creati con sbarramenti lungo il corso del fiume Giallo, per poi immetterci nella stretta valle che ci condurrà a Tongren, dove arriviamo alle 19; è quasi buio, ci mettiamo subito alla ricerca di un hotel.

Martedì 19 ottobre - Ci dirigiamo attraversando il quartiere tibetano al Rongwo Gouchen Gompa. Percorriamo Zhongshan Lu, il lungo viale con tipici negozi di abbigliamento tibetano fino al grande piazzale prospiciente il gompa; pagato il biglietto ci addentriamo tra le numerose costruzioni che costituiscono il complesso. Iniziamo la visita dal Golden Horse Headed Hall, tempio costruito recentemente con 1.000 immagini di Horse Headed God alle pareti, circondato da un porticato chiuso in cui sono posizionate le ruote delle preghiere. Ci spostiamo alla Main Assembly Hall edificata nel 1732 ed ampliata nel 1954 dal settimo Lama; può ospitare più di 3.000 monaci ha 146 colonne ed è dedicata a Buddha Tsongkhara. Il Bodhisattva Manjusri Temple costruito nel 1621, venne distrutto durante la rivoluzione culturale e ricostruito solo nel 2002; dedicato a Bodhisattva ha migliaia di effigi di Bodhisattva Manjusri. Attraversando cortili e percorrendo stretti passaggi, camminiamo accanto a templi e cappelle, non accessibili al pubblico. Alle 12 siamo nuovamente sul piazzale antistante il monastero, dove veniamo avvicinati da due monaci; il più giovane parla un buon inglese. Dopo aver scambiato qualche parola, notiamo un tale che ci osserva attentamente; come ci congediamo da loro, si avvicina ed in perfetto inglese, con un tono cortese ma perentorio ci comunica che non dobbiamo parlare con i tibetani, nè dar loro confidenza e neppure acquistare nei loro negozi. Come riprendiamo il nostro cammino, vediamo che ci segue e ci controlla, anche se ha asserito di essere un ingegnere che lavora in Sudan e che si trova in vacanza presso la sua famiglia. Ci addentriamo nuovamente per le vie del quartiere ed attraversato il mercato tibetano raggiungiamo il punto di partenza dei taxi collettivi per il villaggio di Sengeshong dove sorge il complesso di Wutun Si. E' a soli sei km. da Tongren; il taxi ci lascia nelle vicinanze degli otto chorten che sorgono all'esterno del Monastero Basso, mentre poco oltre, fanno bella mostra di sè, due grandi chorten, uno decorato con figure e disegni, l'altro rivestito con fogli di lamiera dorata. Dopo aver girovagato per gli stretti vicoli fiancheggiati da vecchie case di fango, entriamo all'interno del complesso; visitiamo un paio di templi e la sala delle assemblee con i monaci che seduti attorno a bassi scanni sono intenti a consumare il pasto quotidiano.

Mercoledì 20 ottobre - Il terminal degli autobus è chiuso per ristrutturazione e nella confusione creata da passeggeri che cercano lungo la strada il mezzo per la propria destinazione, saliamo sull'autobus diretto a Xiahè. Pur essendo le 7,30 parecchi passeggeri sono già seduti ai propri posti, per la quasi totalità pellegrini tibetani che si recano al monastero di Labrang. La strada stretta ma senza traffico, risale la valle costeggiando il letto del fiume fra spoglie montagne, terreno di pascolo per mandrie di yak e sperduti, minuscoli villaggi con le case in terra e fango. Oltrepassato un primo passo posto a 3.300 mt. giungiamo al villaggio di Shuangpengxixiang; breve sosta, di cui approfittano quasi tutti i passeggeri per comprare dagli abitanti del villaggio, yogurt fresco che mangiano con appetito pur avendo sofferto e vomitato per l'intera salita. La strada asfaltata ma molto sconnessa, ci porta ad affrontare un secondo passo posto a 3.675 mt. di quota; intorno a noi estese praterie si perdono a vista d'occhio. Iniziamo a scendere; seguendo il corso di un torrente di montagna, arriviamo a Xiahè (2.970 mt.). A causa di lavori che impediscono l'accesso al terminal, l'autobus si ferma nel viale di accesso alla città di fronte ad un hotel; sembra nuovo, proviamo a chiedere prezzi e disponibilità. In pochi minuti abbiamo la camera; depositati i bagagli, ci dirigiamo al monastero di Labrang. Percorriamo il largo viale su cui si affacciano palazzi modernissimi; altri sono in costruzione ed ampie aree su cui erano edificate le vecchie abitazioni, ora demolite e ridotte a cumuli di macerie, sono pronte per far spazio a nuovi edifici. Lasciata Renmin Xije imbocchiamo il Kora, il sentiero di pellegrinaggio con le ruote delle preghiere che i pellegrini percorrono, pregando. Seguendo il flusso di fedeli che si muove in senso orario, raggiungiamo il chorten di Gongtang. Entriamo: è molto bello, con una fornitissima biblioteca di testi sacri impilati in teche che giungono al soffitto e pregevoli dipinti alle pareti. Saliamo fino all'ultimo terrazzo del chorten da cui si gode una vista panoramica a 360 gradi sul complesso monastico. Proseguendo, ci inoltriamo nel quartiere tibetano, caratterizzato dalla presenza di case edificate con mattoni in terra e di due monasteri: quello femminile ed il Nagkpa gompa. Sono entrambi chiusi al pubblico, vediamo solo alcune monache uscire dalle celle facendo roteare le ruote delle preghiere ed alcuni giovani monaci dalle caratteristiche tuniche bianche e rosse e dai lunghissimi capelli raccolti in trecce, sull'ingresso della scuola monastica del Nagkpa gompa. Facciamo ritorno in città, proseguendo lungo il Kora, stretto passaggio fiancheggiato da una lunga teoria di ruote della preghiera e minuscole celle di meditazione, che si snoda tra il fianco della montagna ed il muro di cinta del monastero.

Giovedì 21 ottobre - Usciamo un poco più tardi del solito accompagnati da un vento gelido e da un freddo pungente con il sole che non si è ancora incuneato nella valle. Renmin Xije è deserta, negozi ed uffici sono ancora chiusi, alcuni commercianti stanno cominciando ad alzare ora le saracinesche dei loro esercizi. Raggiunto il monastero di Labrang, ci immettiamo con i primi pellegrini nel Kora; ne percorriamo circa metà, per addentrarci fra gli edifici del complesso monastico. Pagato il biglietto, insieme ad altri visitatori, iniziamo un tour guidato che ci permette di entrare e visitare le sale interne di alcuni templi, tutte molto simili tra loro, con broccati ai soffitti, dipinti alle pareti e numerose statue di Buddha nelle diverse manifestazioni: Buddha del futuro, del presente, del passato. Alcuni templi fungono anche da aule scolastiche; il primo che visitiamo ha un vasto cortile il cui porticato, ha le pareti dipinte con rappresentazioni di foglie e piante officinali essendo questo il luogo in cui si insegna la medicina tradizionale tibetana. Accompagnati da un monaco che parla inglese, visitiamo il museo che espone nelle teche reliquie, strumenti ed oggetti di uso religioso, due enormi zanne di elefante e le sculture in burro di yak che ogni anno a dicembre, vengono scolpite dagli studenti, per concludere la visita alla Sala delle Assemblee dove è in corso la puja, preghiera a cui partecipano un centinaio di monaci. Assistiamo ad una parte della lunghissima cerimonia, che può durare anche cinque - sei ore, officiata da un lama che oltre a portare il tipico cappello giallo dell'ordine dei gelugpa, indossa un pastrano con vistose decorazioni e ricami in argento impreziositi da turchesi e coralli. Terminata la visita al complesso monastico, in taxi raggiungiamo Sangke, piccolo villaggio al limitare della prateria e ritornati a Labrang ci portiamo nel quartiere tibetano e dal monastero femminile saliamo sul crinale della montagna per il giro più esteso del Kora. La salita molto ripida porta ad un piccolo chorten con una moltitudine di bandierine che sventolano nel cielo blu e da cui si può ammirare il panorama sull'intera vallata, sul monastero e sulla città di Xiahè.

Venerdì 22 ottobre E' ancora buio quando ci presentiamo nella hall dell'hotel. E' deserta; non abbiamo molto tempo a disposizione per cercare e tirare giù dal letto gli addetti alla reception, farci restituire, dopo il controllo della camera, la cauzione in denaro depositata al nostro arrivo, farci aprire la porta d'ingresso dell'albergo e precipitarci all'autobus parcheggiato fortunatamente, a pochi metri di distanza. Sotto una pioggia battente, alle 6,30 lasciamo Xiahè. La strada corre a fondovalle seguendo il tortuoso corso del fiume; siamo in un'area rurale con campi coltivati e piccoli sperduti villaggi contadini in cui le abitazioni sono protette da alti muri di mattoni. Passata Linxia, roccaforte dell'islamismo cinese, scendiamo verso Lanzhou, il capoluogo del Gansù. Poco prima di mezzogiorno giungiamo al terminal ovest di questa città conosciuta per essere una delle più inquinate dell'intera Cina. In taxi ci facciamo portare, attraversando l'intera città, costruita sulle sponde del Fiume Giallo, alla stazione ferroviaria dove acquistiamo i biglietti per una cabina con le cuccette morbide sul treno Z56 delle 14,25 che da Lanzhou parte alla volta di Pechino. Lasciati i bagagli al deposito, ci rechiamo nel vicino mercato per acquistare alcune provviste per il lungo (1.876 km.) viaggio in treno.

Il resoconto da sabato 23 a martedì 26 ottobre si trova nella sezione Cina - Pechino

 
 
 
 
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