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ETIOPIA - Omo river
 
 
" Omo River "

L'Etiopia, è una delle poche nazioni africane che risparmiata dal colonialismo europeo, è riuscita a mantenere pressoché inalterata la propria identità culturale.
Un paese interessante, ricco di vestigia storiche e religiose, di meravigliosi paesaggi e di affascinanti tribù.
Una regione, quella del fiume Omo, caratterizzata dai laghi della Rift Valley, popolata da molteplici ed eterogenei gruppi etnici dal fascino incredibile, per i quali pitture del corpo, tatuaggi, scarificazioni e piattelli labiali assumono significati profondi.
Un angolo di Africa a lungo dimenticata, dove il corso del fiume ha da sempre regolato la vita e la morte, e dove popoli di origini diverse, convivono seguendo l'alternarsi delle stagioni e le esigenze del bestiame.

Venerdì 3 ottobre - Partiamo in mattinata dall'aeroporto di Milano-Linate con un volo AirOne per Roma-Fiumicino dove nel pomeriggio ci imbarchiamo sul volo Saudi per Jeddah. All'aeroporto saudita, ci aspetta una lunga sosta che trascorriamo, noi unici occidentali, osservando gli altri passeggeri in transito, molti dei quali, pellegrini diretti alla Mecca.

Sabato 4 ottobre - E' da poco spuntata l'alba quando finalmente ci imbarchiamo su un "747" della Saudi Airlines; dopo tre ore di volo atterriamo al "Bole International Airport" di Addis Abeba. Impieghiamo circa due ore a sbrigare le formalità doganali mentre Tesfaye il nostro autista ci sta aspettando per accompagnarci all'agenzia che avevo contattato tramite e-mail durante la preparazione del viaggio. Confrontati i programmi e presi gli ultimi accordi, ci rechiamo a  cambiare i dollari in Birr, la valuta locale e provvediamo ad acquistare viveri ed acqua. Poi a piedi ci rechiamo a Meskel square e a Piazza per un primo contatto con la città.

Domenica 5 ottobre - Puntuale alle 7,30 Tesfaye con la sua Toyota Land Cruiser è al Debre Damo Hotel dove alloggiamo. Caricati i bagagli e la scorta di viveri ed acqua, lasciamo Addis Abeba per dirigerci verso i laghi della Rift Valley. In circa due ore e mezza, su una comoda ma trafficata strada asfaltata, giungiamo a Langano, località di villeggiatura sulle rive del lago omonimo dalle acque color caffelatte, dove ci concediamo una breve sosta prima di inoltrarci nel vicino Abiata - Shala National Park. Qualche struzzo, alcune gazzelle e molti uccelli, alcuni dei quali endemici, sono i soli animali che vediamo mentre saliamo verso la collina che sovrasta i due laghi e da cui si gode una magnifica vista. Attraversiamo il parco e scendiamo fin sulle sponde del lago Abiata; per le scarse precipitazioni durante la stagione delle piogge, il livello dell'acqua si è ridotto notevolmente e così facciamo una piacevole camminata per avvicinarci ad una colonia di fenicotteri, marabù e pellicani. Quando siamo a poche decine di metri il terreno diventa improvvisamente cedevole, è ora di utilizzare i teleobiettivi, proseguire potrebbe risultare pericoloso. Ritornati sulla strada principale ci dirigiamo a Shashemene. Ci sistemiamo al Bekele Mola Hotel, albergo modesto ma pulito; poi essendo quasi ora di cena, ci facciamo un giro per le vie della cittadina, ed entriamo in un ristorante. Assaggiamo l'injera, il tipico pane etiope dal sapore acido servito con verdure e carne speziata. Ritornando in hotel, paghiamo il pernottamento e dalla ricevuta scopriamo che in Etiopia dove si adotta il calendario giuliano è il 24 gennaio 1996.

Lunedì 6 ottobre - Sveglia all'alba con destinazione il Nechisar National Park. Viaggiamo per parecchie ore attraverso un paesaggio assai vario; montagne, pianure e villaggi si susseguono in continuazione. Il cielo è molto nuvoloso, fa freddo. A Sodo, cittadina di montagna ci fermiamo per una breve sosta. Dopo quasi cinque ore di viaggio siamo al parco, pagato l'ingresso, imbocchiamo una pista che si inerpica sul fianco della montagna; sotto di noi si estendono il lago Chamo, regno incontrastato di ippopotami e coccodrilli ed il lago Abaya; il panorama è ancora una volta stupendo. Siamo su un altopiano immersi nella savana, habitat di dik-dik, antilopi, zebre e babbuini tra gialle sterpaglie che contrastano con l'azzurro del cielo e del lago; il silenzio interrotto solo dal vento e dal canto degli uccelli rendono questo posto magico. Dopo aver riguadagnato l'uscita raggiungiamo la vicina Arba Minch, la città più grande dell'Etiopia meridionale. Tutti gli alberghi sono al completo, non ci rimane che piazzare le tende nel giardino dell'Hotel Bekele Mola dalla cui terrazza si gode una magnifica vista sui laghi sottostanti. Mentre il sole sta tramontando fra nuvole nere, cariche di pioggia, sui laghi appare un arcobaleno, ultima pennellata di colore di un giorno che sta per finire.

Martedì 7 ottobre - Ci svegliamo presto per il gran trambusto fatto da un gruppo di turisti tedeschi in partenza; quando finalmente se ne vanno siamo quasi intossicati dai gas di scarico dei fuoristrada lasciati con i motori accesi vicino alle nostre tende. Alle 8 partiamo per il lago Chamo, oltrepassiamo una zona militare con i soldati in addestramento e dopo pochi chilometri giungiamo ad un piccolo molo dove è attraccata la nostra barca; il proprietario è un anziano signore che parla abbastanza bene la nostra lingua e rimpiange i tempi del colonialismo italiano. Salpiamo. I coccodrilli sono tanti, enormi, alcuni sembrano venirci incontro; altri sonnecchiano sulle rive del lago con le fauci spalancate in attesa che qualche uccellino pulisca loro i denti; fra di loro colonie di pellicani, marabù ed aironi. Il cielo ed il lago sono dello stesso azzurro tenue e a volte ci è difficile capire dove finisca l'uno ed inizi l'altro. Vicino a noi su zattere rudimentali ci sono giovani pescatori; gettare le reti da riva è troppo pericoloso, i coccodrilli a volte attaccano e così è più sicuro (sarà poi vero?) pescare da una zattera. Nella calma del lago si odono soltanto le nostre esclamazioni quando l'attenzione si focalizza sui coccodrilli più grossi. Ci spostiamo dove solitamente si possono avvistare gli ippopotami; li vediamo che fuoriescono dall'acqua con la testa, ne contiamo cinque o sei; ci guardiamo a vicenda, loro incuriositi, noi affascinati. Lasciamo il lago, il tempo è passato molto in fretta; dobbiamo recarci a Chencha dove oggi è giorno di mercato. Ci inerpichiamo per una trentina di chilometri lungo una strada di montagna, siamo nel territorio dei Dorze, agricoltori ed abili tessitori che vivono sulle montagne Guge che sovrastano Arba Minch. Le capanne molto caratteristiche, hanno una curiosa forma ad alveare con una piccola stanza che funge da ingresso e che sporge come un enorme naso dalla costruzione principale. Purtroppo oggi non vengono più costruite, Tesfaye ci racconta che vengono sostituite da casette di legno e fango con il tetto in lamiera, assai bruttine a vedersi. Lungo la strada incontriamo parecchie donne che salgono verso Chencha curve sotto il peso di carichi non indifferenti. Girovaghiamo per il villaggio in attesa che il mercato si animi, la gente è incuriosita dalla nostra presenza, ci osserva, ci accompagna, ci segue. Solo quando si è abituata a noi, che diventiamo parte integrante del paesaggio, riusciamo a muoverci e a fotografare più liberamente.

Mercoledì 8 ottobre - Sveglia alle 5,30 e dopo aver smontato le tende, lasciamo Arba Minch. La strada asfaltata è terminata, da ora in poi ci aspettano solo strade sterrate e piste. Ci dirigiamo verso sud, attraverso una campagna lavorata a terrazzamenti; siamo nella terra dei Konso, etnia dedita all'agricoltura. Una tradizione li contraddistingue: quella di erigere i waga sculture in legno in memoria dei guerrieri morti. Dopo una sosta a Weyto ripartiamo per Jinka, graziosa cittadina con tanto di aeroporto, un enorme prato al centro della città su cui pascolano le mucche e i ragazzi giocano a calcio; ritorna ad essere una pista due volte la settimana quando i poliziotti riescono a sgombrarla prima dell'arrivo dell'aereo da Addis Abeba. A Jinka ci fermiamo due giorni, è una tappa obbligata per andare nel territorio dei Mursi. La ricerca dell'albergo si rivela piuttosto difficoltosa, quelli da noi scelti in base alle indicazioni della Lonely Planet sono per questa notte al completo, ripieghiamo così sul nuovo Jinka Afra Resort, molto bello ma decisamente più caro. Ci trasferiremo all'Orit Hotel nella giornata di domani.

Giovedì 9 ottobre - Daniela e Roberto sono stati male tutta la notte. Ci vediamo costretti a modificare il programma iniziale; mentre loro se ne stanno a letto tutto il giorno, noi andiamo alla scoperta della città. Abbiamo così l'opportunità di incontrare e socializzare con una scolaresca e con un gruppo di persone appartenenti al gruppo etnico degli Tsmay, venute in città a fare acquisti. Sono pastori seminomadi, le cui decorazioni ricordano gli Hamer; le donne sposate indossano ampi collari decorati con numerose cipree, conchiglie provenienti dal Mar Rosso anticamente utilizzate come moneta, mentre le ragazze più giovani inseriscono un disco di metallo tra i capelli, per segnalare la loro condizione di nubili. Nel pomeriggio si scatena un gran temporale, piove parecchio; c'è il rischio che l'ingresso al Mago National Park ci venga negato per l'impraticabilità della pista.

Venerdì 10 ottobre - Dopo aver contattato dalla sede del Mago National Park, via radio, i rangers all'ingresso, Tesfaye ci comunica che possiamo partire. Fatti pochi chilometri cominciano le prime difficoltà, un torrente in piena ci costringe a ritornare sui nostri passi e a cercare un passaggio alternativo. La pista è accidentata, in alcuni tratti molto fangosa e solo l'abilità di Tesfaye ed il mezzo a disposizione ci permettono di avanzare. Il paesaggio è estremamente vario, le montagne si alternano a vaste pianure verdeggianti; dopo una trentina di chilometri entriamo nel territorio dei Mursi, allevatori semi-nomadi che vivono in una delle zone più impervie della regione. Mentre avanziamo a fatica nel fango, abbiamo il primo contatto, un gruppetto di persone che si sta recando a Jinka per il mercato di domani. Impieghiamo più di tre ore per arrivare ad un villaggio. Appena scendiamo dalla macchina veniamo circondati da donne, ragazze e bambini che spingendo, strattonando ed urlando si propongono per farsi fotografare. Qui tutto si paga e una fotografia garantisce un'entrata sicura; le donne portano quasi tutte il piattello labiale; un piattello di argilla decorato con semplici graffiti che inseriscono nel labbro inferiore e talvolta anche nei lobi delle orecchie. Qualcuna, per allontanare gli spiriti maligni, si è dipinta il viso, il corpo ed il pargolo appeso alla schiena, di bianco; tutte portano bracciali e collane di metallo. Gli uomini sono molto meno affascinanti ma molto più inquietanti; mostrano orgogliosi e minacciosi i loro fucili, vogliono anche loro del denaro e ci costringono a fotografarli. Tuttavia basta poco per creare un poco di feeling; un sorriso viene subito corrisposto, sono incuriositi, ci toccano, ridono di noi; Adriana, la più brillante del gruppo, dialoga nel nostro dialetto con una donna che le parla nel suo idioma. Purtroppo non ci fermiamo quanto vorremmo, alcuni uomini forse alterati dall'alcool o forse perché il nostro interesse è maggiormente rivolto alle donne, molto più fotogeniche, si stanno inquietando troppo, Tesfaye ci avverte che possono diventare violenti e ci sollecita a risalire sul fuoristrada. Percorriamo a ritroso la strada fatta in mattinata, il sole ha in alcuni punti asciugato il fango tuttavia la pista rimane in pessime condizioni. Siamo a Jinka prima del tramonto, abbiamo ancora il tempo di recarci nella piazza del mercato dove incontriamo altri Mursi, giunti in città per il mercato di domani.

Sabato 11 ottobre - Passiamo la mattinata a girovagare per il vasto e coloratissimo mercato uno dei più importanti della regione, punto di ritrovo di diverse etnie. Ritroviamo oltre ai simpatici ragazzi Mursi di ieri sera altre persone appartenenti a differenti etnie: Tsmay, Bumi, Banna ed Ari. Dopo aver assistito all'arrivo del piccolo aereo dell'Ethiopian Airlines, partiamo alla volta di Turmi. Strada facendo ci fermiamo a Dimeka dove è in corso il mercato settimanale. Siamo nella regione degli Hamer, allevatori seminomadi. Le loro donne minute, molto belle, hanno i capelli acconciati con treccine molto fitte che ricoprono con un impasto di grasso animale ed ocra. Molte di loro hanno il corpo ricoperto di cicatrici ornamentali e di scarificazioni; indossano pelli di capra decorate con perline e cipree e si adornano con pesanti bracciali di metallo. Interessante è pure l'aspetto degli uomini, alcuni hanno braccia e gambe dipinte di bianco ed ocra, altri portano un "copricapo" di argilla impastata e decorata che sostiene una o più piume di struzzo. Portano sempre con sè il borkota, un poggiatesta di legno intagliato che usano anche per sedersi e come bicchiere. Acquistiamo alcune calabaches decorate con incisioni, perline e cipree, utilizzate dalle donne Hamer come borsette e ci rimettiamo in viaggio. Dopo aver attraversato paesaggi maestosi, savana con grandi agavi fiorite e minuscoli villaggi giungiamo a Turmi dove piazziamo le nostre tende.

Domenica 12 ottobre - Partiamo di buon ora con destinazione Omorate. La pista che attraversa la savana è in buono stato e così in un paio d'ore giungiamo in questo sperduto villaggio sulle rive del fiume Omo. Fa molto caldo. Traghettiamo con una barca reperita presso il posto di polizia ed accompagnati da un militare, che fungerà da interprete, ci  rechiamo a far visita ad un villaggio Galeb, gruppo etnico in via di estinzione. Il terreno è molto secco, desertico; le capanne di questa popolazione nomade che vive in un territorio che impone condizioni di vita molto dure, denotano una grande povertà. Fuori dal villaggio una decina di anziani è seduta a terra, tra loro ed il militare inizia una lunga trattativa; alla fine acconsentono alla visita e ci lasciano accedere ad uno stretto passaggio ricavato fra arbusti secchi e rovi posti a protezione delle capanne. All'interno del villaggio solo donne e bambini; le prime, molto alte, hanno un chiodo o una spina d'acacia che trapassa il labbro inferiore ed al collo portano collane di perline colorate. Il loro semplice abbigliamento assomiglia a quello degli Hamer, tuttavia i Galeb si distinguono per la fantasia con cui riutilizzano materiali di recupero quali bottoni, graffette o chiodi, per creare i loro gioielli. Ritornati ad Omorate, ci  rechiamo in un altro villaggio Galeb; il capo-villaggio, un anziano signore che parla sommariamente la nostra lingua, ci dice di essere stato al servizio di un militare italiano durante il periodo coloniale. Si commiata pregandoci di salutare il nostro governo di cui ha un ottimo ricordo.!!!

Lunedì 13 ottobre - Oggi è giorno di mercato a Turmi, uno dei più importanti ed interessanti fra i mercati Hamer. Come tutti i mercati in Etiopia, si anima solo verso mezzogiorno e così passiamo la mattinata a girovagare nei dintorni del villaggio. Io ed Adriana prestiamo le prime cure, con i medicinali che ci portiamo appresso, ad una bimba Hamer venuta a Turmi dal proprio villaggio; presenta una vasta ustione al torace conseguenza di una caduta nel fuoco. Il mercato è molto bello, variopinto, animato, interessante. Tutti si conoscono, i mercati sono anche momenti di aggregazione sociale e servono a mantenere vivi i contatti sociali. Nel primo pomeriggio ci rimettiamo in viaggio, dopo una breve sosta ad Arborè, minuscolo villaggio abitato dall'etnia omonima, ci dirigiamo a Konso. Viste le condizioni meteorologiche, sta iniziando a piovere, decidiamo di pernottare in albergo anche se le camere dell'hotel sono molto squallide, le peggiori di tutto il viaggio.

Martedì 14 ottobre - Ci alziamo che è ancora buio, ma oggi ci aspetta una giornata molto intensa. La nostra prima destinazione è Yabelo; ci arriviamo dopo tre ore di viaggio su una pista in alcuni tratti molto brutta ma che attraversa paesaggi a volte spettacolari. Abbiamo in programma una puntata fino a El Sod, ad un centinaio di chilometri da Yabelo verso il confine con il Kenia, dove c'è un lago in un cratere profondo un centinaio di metri da cui viene estratto il sale. Giunti sul posto veniamo letteralmente assaliti da un gruppo di persone che pretendono per la discesa nel cratere ed il parcheggio dell'auto una cifra folle. Iniziamo una trattativa ma non c'è possibilità di dialogo. Guardiamo il lago dall'alto, dal bordo del cratere, quindi risaliti in auto ci dirigiamo a Dublock. Vorremmo vedere i pozzi cantanti dei Borana, ma anche in questo caso per improvvisare una sceneggiata di pochi minuti ad uso esclusivamente turistico vogliono una cifra iperbolica. Tesfaye ci riferisce che ultimamente queste due località vengono escluse da molti programmi di viaggio proprio per questo motivo e ci consiglia di proseguire fino ad Awasa, così facendo domani potremo assistere al mercato del pesce che si tiene di primo mattino. Riprendiamo il viaggio, Awasa dista ancora trecento chilometri, ma la strada asfaltata in buone condizioni ci permette di procedere abbastanza speditamente. Le numerosissime persone che camminano in mezzo alla carreggiata incuranti del poco traffico e gli animali che a volte improvvisamente la attraversano ci creano attimi di apprensione; puntualmente un asino con un pesante basto decide di attraversare mentre sopraggiungiamo e nonostante la pronta frenata l'urto è inevitabile. E' quasi sera, quando si scatena una pioggia torrenziale, a fatica si riesce a vedere la strada. Giungiamo ad Awasa, che è ormai buio, in albergo non c'è né la corrente elettrica né l'acqua, ma non ci perdiamo d'animo ed anzi, per rinfrancarci, decidiamo di andare a cena in uno dei migliori ristoranti della città, il Pinna restaurant, di proprietà di una famiglia italiana.

Mercoledì 15 ottobre - Mentre Tesfaye provvede a far riparare i danni riportati dal Toyota nell'urto di ieri, ci rechiamo al mercato del pesce che si tiene ogni giorno al rientro dei pescatori. Molti sono già rientrati, altri stanno giungendo a riva con le loro piccole barche. Tanti sono i bambini al lavoro, alcuni smistano il pesce, altri lo puliscono servendosi anche della bocca per diliscarlo. Ci rimettiamo in viaggio, abbiamo in programma di andare fino ad Harar, città musulmana nell'est del paese. La strada in molti punti in rifacimento è un continuo susseguirsi di cantieri e deviazioni ed il traffico molto intenso, essendo questa la via di comunicazione che collega Addis Abeba al porto di Dijbuti, ci costringono a procedere lentamente. E' tardo pomeriggio e decidiamo di pernottare ad Awash, vicino alla stazione ferroviaria nel vecchio e caratteristico albergo coloniale di Madame Kiki, il "Buffet d'Aouache".

Giovedì 16 ottobre - Anche oggi ci aspetta un lungo trasferimento, decidiamo di partire prima dell'alba per evitare di viaggiare sotto il sole cocente. Dalla savana di Awash, passiamo presto ad un paesaggio alpino, la strada infatti attraversa la catena dei monti Chercher, in un susseguirsi di villaggi, di piantagioni di caffè e piantagioni di chat. Lungo la strada incrociamo molte donne Oromo che nei loro abiti da colori sgargianti, ritornano alle abitazioni portando in testa grosse calabaches ricolme d'acqua. Facciamo una deviazione per raggiungere Dire Dawa e visitare il vasto mercato di Kefira molto affollato. Veniamo aggrediti verbalmente da un tale che esterna il suo rancore verso gli occidentali insultandoci pesantemente dopo aver inneggiato a Saddam Hussein. Alle 13 dopo che la gente si è rifornita di chat, il mercato si svuota; ci rimettiamo in viaggio per Harar, angolo d'oriente in terra d'Africa, città musulmana, architettonicamente araba. E' circondata da una cinta muraria con sette porte, da ciascuna si dipartono strade che portano verso il centro della città vecchia, la piazza su cui sorge la cattedrale e da cui si dipartono i vicoli che portano al mercato musulmano.

Venerdì 17 ottobre - Dedichiamo l'intera giornata alla visita della città, girando per le strette viuzze sui cui si affacciano mille negozi. Visitiamo la cattedrale, le moschee, le tombe, il palazzo che fu dimora di Haile Selassie, e quello in cui abitò il poeta francese Rimbaud. Veniamo invitati a visitare una tipica casa aderè dove alcune donne stanno ultimando le grandi pulizie per l'imminente inizio del Ramadan. Ci portiamo verso il mercato musulmano; donne afar, donne aderè, donne con i visi tatuati, o con il volto coperto dal classico velo musulmano, lo animano e lo colorano. Uomini con vecchie macchine da cucire lavorano lungo i vicoli. Nei pressi della cattedrale si tiene il mercato del chat, foglie allucinogene che vengono masticate prevalentemente dagli uomini; la piazza è animata, sono in attesa dell'arrivo delle foglie appena raccolte. Ci accompagna nel nostro girovagare un bambino di 6/7 anni che già da ieri si è aggregato a noi, senza mai chiedere nulla. E' un trovatello, dorme in strada, sotto ad un container vicino al nostro hotel. Nessuno sa niente né dei genitori, né dei fratelli. Fischietta sempre e così lo soprannominiamo "Subiot" che nel dialetto della nostra valle vuol dire fischietto. Indossa abiti sporchi e laceri, così Adriana e Daniela decidono di rivestirlo in modo decente. Andiamo al mercato e con pochi soldi gli compriamo un paio di jeans, una maglietta all'ultima moda ed una felpa per coprirsi la notte quando la temperatura si abbassa. E' felice, richiama l'attenzione di tutte le persone che conosce per farsi ammirare con i nuovi abiti. Alle 19, andiamo a vedere il pasto delle iene. E' notte, in auto con Tesfaye ci rechiamo, in un posto isolato fuori le mura dove incontriamo Yusuf, l'uomo che porta il cibo alle iene. Quando arriviamo le iene lo stanno già aspettando, sono una dozzina, alcune molto grandi. Senza alcun timore e solo con un poco di circospezione per la nostra presenza si avvicinano all'uomo e prendono la carne dalle sue mani.

Sabato 18 ottobre - Siamo ormai al termine del nostro giro nel sud dell' Etiopia. Ripercorriamo la strada fatta precedentemente, ed in circa nove ore siamo ad Addis Abeba. Tesfaye rientra a casa per stare qualche ora con la sua famiglia e noi ci rechiamo con i mezzi pubblici a Piazza. Passeggiamo per la città, fra palazzi coloniali reminiscenza dell'occupazione italiana e palazzi moderni, circondati da baracche e da terreni con detriti e rifiuti; Addis Abeba non ha un vero centro, è un alternarsi di palazzi, baraccopoli e discariche di rifiuti. A dispetto del suo nome che in amarico significa nuovo fiore non è in realtà una bella città. Rientriamo in hotel, domani inizieremo un nuovo tour, nel nord del paese.

Il resoconto da domenica 19 ottobre a sabato 1 novembre si trova nella sezione Etiopia - La rotta storica

 
 
 
 
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